venerdì 14 dicembre 2012

Mi chiamavano mamma ma era solo una truffa

E poi non andate in giro a dire a chi non può avere figli: basta che adotti! 

Da La stampa 14/12/2012 Niccolò Zancan

Un giorno d’estate arriva una foto a casa e scoppi a piangere. Ti dicono: queste sono «le bambine assegnate». Le tue bambine. Bellissime. Sono nate a Bishkek, Kirghizistan, sorelle di 4 e 5 anni. Hai già i nomi italiani, Claudia e Gemma. Perché sono tre anni che non pensi ad altro, da quando hai deciso di tentare la lunga strada delle adozioni internazionali. «Io e mio marito eravamo felici. Quel giorno eravamo convinti di essere diventati genitori. Abbiamo dipinto la cameretta delle sorelle, le abbiamo iscritte all’asilo. Ricordo che durante un viaggio di lavoro a Copenaghen, ho riempito la valigia di Lego. E poi ho comprato vestiti, pigiamini, giochi. Lo ammetto, forse ho un po’ esagerato...». 


Ma provate a mettervi nei panni della signora Gabriella Falena e del marito Maurizio: come potevano immaginare di andare incontro a una truffa internazionale? Truffa sulla loro pelle. Truffa sulla pelle dei bambini. Trenta coppie di aspiranti genitori italiani sono state illuse alla stessa maniera. Partite dal Lazio, dalla Liguria, dalla Toscana e dalla Lombardia, hanno baciato i loro figli adottivi. Hanno promesso di tornare a prenderli prestissimo. Ma era un inganno da 10 mila euro a pratica. 

 Esami obbligatori, propedeutici all’adozione internazionale: elettrocardiogramma, sangue, malattie infettive, controllo sull’assunzione di alcol, eroina e cocaina, test psicologici e attitudinali, visite psichiatriche. «Poi ci hanno chiesto di controllare il nostro conto bancario - spiega la signora Falena - non bastava la busta paga. Poi dovevano venire i carabinieri per un sopralluogo. Mi ricordo che tagliavo l’erba di continuo, volevo che trovassero la casa perfetta». Intanto, due mercoledì al mese, Maurizio e Gabriella Falena facevano colloqui con le assistenti sociali: «Volevano prepararci all’eventualità più dura. Che i bambini fossero malati o anaffettivi. Ma nessuno ci ha preparato a una cosa così...». Tempo. Ci vuole pazienza. Bisogna aspettare notizie dall’ente intermediario, in questo caso «Airone», ufficialmente accreditato. Fino a quando arriva la foto. E allora si può piangere di gioia e si fissa la data di partenza. 

Maurizio e Gabriella Falena volano in Kirghizistan, via Istanbul. «La città è bellissima, montagne alte, aria limpida. Ma ci portano in questo orfanotrofio. Sconvolgente. Cinquanta bambini ci corrono incontro. Avevamo caramelle, biscotti e bolle di sapone, ma non bastavano per tutti. Urlavano: “Mamma, mamma!”. È stato micidiale. Non riuscivamo neppure a trovare le nostre sorelline. Ma c’erano. Le hanno portate fuori. Sono venute con noi in albergo. Abbiamo passato insieme una settimana». 

Qui compare il signor Alexander Anghelidi, nel ruolo di mediatore. «Ha voluto 1500 euro in contanti, nonostante il regolamento prevedesse solo pagamenti tracciabili... Il mio sesto senso mi diceva di fare attenzione. Ma in quei momenti non prevale la razionalità. Abbiamo nutrito Claudia e Gemma, hanno imparato le prime parole in italiano. Ci chiamavano mamma e papà...». Per chi avesse dubbi, bisogna precisare che questo è il percorso istituzionale. Quello battezzato dal Cai, il centro adozioni internazionali, emanazione diretta del governo italiano. Insomma, stavano facendo il loro dovere. «Abbiamo pagato 10 mila euro per ogni sorella - racconta Gabriella Falena - poi è arrivato il giorno del notaio. Il momento cruciale. Quello in cui si firma un secondo atto di nascita delle bambine. L’intermediario era al nostro fianco. Ma abbiamo dovuto fare in 5 minuti. Il documento era in cirillico, l’interprete nemmeno l’ha tradotto... Ma ci hanno detto che era tutto a posto». Da quel momento deve passare ancore un mese. Se non sorgono elementi contrari, un giudice dichiara inappellabile la sentenza di adozione. «Avremmo voluto restare, ma hanno detto che non era il caso». 

 Siamo ad ottobre. «Dall’Italia provavo a telefonare all’orfanotrofio, ma non mi passavano la responsabile. Continuavamo a prenotare voli per essere pronti a partire...». Poi si è capito. Alexander Anghelidi è scomparso. Le sorelline, in realtà, non erano nemmeno adottabili. Come altri bambini. Molti sono stati «assegnati» addirittura a genitori diversi, per farli rendere di più. Un’altra mamma mancata, ora racconta: «Mentre ero lì mi hanno offerto di comprare un bambino attraverso canali non ufficiali. Pazzesco! Io e mio marito siamo in cura da uno psicologo». Molti genitori truffati hanno deciso di denunciare l’ente intermediario. «Nessuno ha chiesto scusa, nessuno ha spiegato. Sono arrabbiata e triste». 

 Ma poi una mamma resta sempre una mamma, anche se lo è stata solo per una settimana. E così alla fine di una giornata dolorosa, passata a ricordare, arriva una mail di Gabriella: «Non ti ho detto che i bambini erano tutti disidratati. Non li fanno bere, se bevono fanno pipì e vanno cambiati. Secondo i medici tedeschi che li hanno visitati, erano malnutriti, i dentini tutti cariati. Non ti ho detto che le torte che abbiamo portato se le mangiavano la direttrice e le inservienti. Non ti ho detto che c’è una tata sola per 30 bambini. Che stanno tutto il giorno buttati là, senza fare nulla. Non piangono nemmeno, tanto nessuno li consola».

1 commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...